Ho sentito parlare di Lucia Burlini dal tempo del noviziato, quando i formatori narravano le vite dei santi dell'Istituto e di quelli che, pur non essendo membri, erano vissuti col carisma della Passione, diretti dal
Fondatore o dai nostri primi Padri nella via della perfezione, ed erano morti in concetto di santità, alcuni dei quali già avviati alla glorificazione sulla terra, da parte della Chiesa. E ne ho seguito le varie tappe. Ma nel 1991/1992, scrivendo la vita del Fondatore S. Paolo della Croce e consultando i documenti sui primi anni di storia dello Congregazione e sulle anime da lui dirette, mi sono imbattuto nella figura di Lucia Burlini.
Si, un vero connubio indissolubíle: l'aver radicato, innestatu 0 meglio aver ricevuto il dona di innestarsí nella vita, dello stessa Autore della vita, non può che farti innamorare della stessa vita.
LA VITA MIA PADRONA
Seppellite in me, sensazloni, emozioni nate appena godute, scomparse, registrate .sul nastro dalla vita. Quante volte vorrei risentirle e il registratore non parla! I comandi per riascoltarmi non sono miei.
Guardo un bambino, una bambina in un passeggino o in braccio a papà e mamma. Guardo e penso: chi è? Perché e per chi ... è nato? Chi diventerà? Che ne sarà di questa creatura? Guardo e sogno tutto il possibile per lui e per lei. E dentro il sogno trovo quello che non si realizzerà mai e quello che, invece, avverrà.
"Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi"
PENSIERO DELLA DOMENICA + VIDEO CORRELATO
E linvito che Gesù fa in questa domenica. Cosa dobbiamo imparare dal Signore?Uno stile di vita! Quello della umiltà e della mitezza.Un tratto caratteristico del volto di Gesù è la sua mitezza. Credo che oggi umiltà e mitezza siano quasi sparite, forse sono rimaste solo le parole, svuotate dal loro profondo significato, anche umano. Siamo bombardati da modelli di vita che fondano il loro valore sulla forza, la potenza, la superbia, limpazienza e la durezza. Le persone che non si mostrano tali, sono messe da parte, considerate incapaci.Il mito del più forte è dominante! Si è venuta così a creare una società di vincitori e di vinti.
Sulla mia salute e quanto mi è accaduto, posso attestarle quanto segue:
Il 12 agosto 1998 ho subito il primo intervento per un cistoma ovario, e tutto si è rimesso a posto.
La speranza di Lucia scaturiva dalla sua carità, virtù che essa praticò fin dalla sua fanciullezza, quando comprese il significato dell'esistenza cristiana: come "Servizio di Dio". Questa elezione del Bene Supremo trovò conferma nel contatto con il suo direttore spirituale, S. Paolo della Croce e fu nel secondo incontro che si sentì affascinata dall'amor di Dio: "Ero fuori di me e nè so spiegarlo...".
GIOVANNI BATTISTA: IL PRECURSORE DEL SIGNORE UNA RIFLESSIONE
L' Evangelista Luca introduce in forma chiara e solenne la figura di Giovanni Battista, del quale il Vangelo ne parla in ripetute occasioni. Quando Gesù elogia Battista ( Mt 11,07/9 ) dimostra con chiarezza la sua volontà forte e il suo impegno in compiere la missione che Dio gli aveva ordinato. Le note caratteristiche della personalitá di Giovanni Battista sono l'umiltà, austerità, coraggio e spirito di preghiera. Portare avanti una missione così tanto eccelsa, essere precursore del Messia, merita da Cristo un singolare lovoro: " Giovanni Battista é il maggiore tra i nati da donna (MT,11.11)" lui ardeva con il suo amore verso Gesù dando testimonianza della luce affinché tutti credessero in Lui. Dichiara la superiorità di Gesú al dire che Lui esisteva ancora prima di lui essere nato, mostrando così la divinità di Cristo generato dal Padre dalla eternità e nato da Maria Vergine nel tempo e mostrando il carattere soprannaturale e trascendente del messianismo di Cristo, tanto distante dalla idea politica/religiosa che cercavano incutere i dirigenti giudei .
"Al nome sia de Iddio et della Gloriosissima Vergine Maria protettrice di questa casa e di tutti i Santi della Celestial Corte". Inizia così un libro di memorie scritte nell'anno 1576 da fra Vittorio d'Arezzo, sacrestano maggiore del convento di S. Maria della Quercia e con questa invocazione anche io ho voluto cominciare questa storia che vuole essere testimonianza della fede di tanti uomini e dell'aiuto che la Madre Celeste offre ai figli devoti, quali essi siano, ricchi o poveri, sapienti od ignoranti, Papi o Imperatori.
L'immagine raffigurante
la Madonna della Quercia
La Madonna, come tutte le mamme, non fa discriminazione tra figli; il suo aiuto è per tutti. Continuiamo a leggere ciò che scrive fra Vittorio: "Dapprima ricordo come questo nostro luogo dove è ora la Chiesa et convento si chiamava il Campo Gratiano et era luogo incolto, et boscareccio.
In quel tempo si trovava a Viterbo uno certo Mastro Battista Magnano Iuzzante molto timorato de Iddio et devoto della gloriosa Vergine Maria, il quale l'anno 1417 fece dipingere in un tegolo, di quelli che si cuoprono i tetti, una immagine della gloriosissima Vergine Maria con il suo figlio in collo, a un certo pittore detto per nome suo proprio Monetto". Mastro Battista posò la tegola su di una quercia che stava ai bordi di una sua vigna, vicino alla strada che conduceva a Bagnaia e lungo la quale spesso i ladroni attendevano i viandanti. E lì rimase per circa 50 anni in incognito; solamente alcune donne che le passavano davanti si fermavano per dire qualche orazione e per ammirare la bellezza di un tabernacolo naturale che una vite selvatica, abbracciata alla quercia, aveva fatto. Durante questo periodo un eremita senese, Pier Domenico Alberti, il cui romitaggio era ai piedi della Palanzana, andava in giro per le campagne e le cittadine dei dintorni di Viterbo, dicendo: "Tra Viterbo e Bagnaia c'è un tesoro".
Molta gente, spinta dall'avidità, iniziò a scavare ma, non trovando nulla, chiese spiegazioni all'eremita. Egli allora portò costoro sotto la quercia prescelta dalla Vergine ed indicò il vero tesoro: "LA MADONNA". Narrò anche come un giorno per arricchire il suo romitorio si fosse deciso a portare via la sacra immagine e come quella fosse ritornata sulla quercia. Questa era la ragione per cui annunciava la presenza di un tesoro in quel luogo. Una delle donne che spesso passavano davanti alla quercia si chiamava Bartolomea e ad ogni passaggio si fermava a pregare la Vergine. Un giorno decise di prendere la tegola ed di portarsela a casa. Dopo aver detto le orazioni della sera, Bartolomea andò a letto ma, svegliatasi, la mattina non trovò più la sacra icone.Pensò che i familiari l'avessero posta altrove, ma, non sentendo parlare nessuno dell'argomento, corse alla quercia e vide ciò che già aveva intuito: la tegola era ritornata miracolosamente al suo posto. Dopo non molto tempo ritentò il furto, ma sempre la sacra immagine tornò sull'albero. Bartolomea però non disse niente per non essere presa per pazza. Nel 1467 , durante il mese di agosto, tutta l'Etruria Meridionale fu colpita dal più grande flagello di quei tempi: la peste. In ogni luogo vi erano morti; nelle strade deserte solo pianti e lamenti. Molti si ricordarono dellImmagine dipinta sullumile tegola e come spinti da una forza inspiegabile accorsero sotto la quercia. Niccolò della Tuccia, storico viterbese, presente al fatto essendo uno dei Priori della città, dice che in uno stesso giorno 30.000 persone erano in Campo Graziano ad invocare pietà. Pochi giorni dopo, la peste cessò ed allora ritornarono in 40.000 a ringraziare la Vergine ed erano abitanti di Viterbo, con a capo il loro vescovo Pietro Gennari, di "Toschanella, Caprarola, Carbognano, Bassano, Soriano, Civitella, Bagnaia, Buomarzo, Vetralla, Luprano, Chanapina, Montefiascone, Vitorchiano, Ronciglione, et molti altri circumvicini" dice fra Victorio.Nei primi giorni di settembre di quello stesso anno accadde un altro fatto straordinario. Un cavaliere viterbese aveva molti nemici e un giorno fu sorpreso da essi fuori delle mura di Viterbo, solo e disarmato. Non sapendo come fronteggiare quel pericolo si diede alla fuga in mezzo ai boschi. Stanco e disperato sentiva le grida dei nemici sempre più vicine. Alla fine fu vinto dalla stanchezza e scorgendo sopra la quercia la sacra immagine di Maria si gettò ai suoi piedi ed abbracciando con gran fede il tronco dell'albero mise la vita nelle mani della Madre Celeste. I nemici arrivati sotto la quercia si stupirono di non vederlo più e si misero a cercarlo dietro ad ogni albero, ad ogni cespuglio e lo sfiorarono ripetutamente senza più vederlo in quanto era sparito ai loro occhi. Non riuscendo a trovarlo, dopo molto tempo, se ne andarono.Allora il cavaliere, dopo aver ringraziato la Madonna, ritornò a Viterbo ed a tutti raccontò quanto successo. Bartolomea lo sentì, ed incoraggiata da quelle parole, descrisse i miracoli di cui era stata protagonista. Ed andavano dicendo a tutti quanto era loro successo con così grande entusiasmo e fede che la devozione alla Madonna della Cerqua si allargò a macchia dolio e moltissime persone, provenienti dalle località più diverse dItalia, continuarono ad accorrere ai piedi della quercia ed a raccomandarsi alla Vergine. Molte furono le offerte per cui si decise di costruire un altare (1467) ed una cappellina di tavole e successivamente, dopo che da papa Paolo Il venne l'autorizzazione, di costruire una piccola chiesa (1467 - 22 ottobre).
In un primo tempo la custodia della piccola cappella fu affidata ai frati Gesuati che, non potendo amministrare i sacramenti, perché ordine religioso laico, fondato dal Beato Colombini di Siena, avevano l'incarico di aiutare i pellegrini e di raccogliere le offerte. E le offerte continuavano ad affluire con la moltitudine della gente e perciò, dopo che i frati dell'ordine dei Predicatori sostituirono i Gesuati (1469), si decise di costruire una grande chiesa che via via, anche per l'incremento che diedero ai lavori ed alla devozione alla Madonna i frati della congregazione di San Marco, discepoli del Savonarola, arrivati alla Quercia nel 1496, tutto il complesso raggiunse lo splendore attuale.Nel 1577, il giorno 8 aprile, ormai completata, la chiesa venne solennemente consacrata dal Cardinale Francesco de Gambara, in onore "Nativitatis beatissimae et gloriosissimae Virginis Mariae"; il cardinale gran devoto della Vergine della Quercia, volle, alla sua morte, essere sepolto ai piedi dell'altare della Madonna.Molti furono i Papi devoti dellImmagine dipinta su tegola . Paolo II, Sisto IV, Innocenzo VIII, Alessandro VI, Giulio II, Leone X, Clemente VII, Paolo III, Giulio III, Paolo IV, Pio IV, San Pio V, che alla protezione della Madonna della Quercia aveva affidato l'armata cristiana che scofisse a Lepanto i turchi, Gregorio XIII, Sisto V, Clemente VIII, Paolo V, Urbano VIII, Innocenzo X, Beato Innocenzo XI, Innocenzo XII, Clemente XI, Benedetto XIII, Clemente XIV, Pio VI, per il riscatto del quale tutto il tesoro della basilica viterbese fu consegnato a Napoleone, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII.
LA CHIESA E IL CONVENTO
Un'ampia scalinata ci conduce in chiesa; a fianco si erge il campanile. L'insieme si presenta con una maestosità che lascia impressionati. Alla grandiosità del complesso fa riscontro la semplicità delle linee architettoniche, fuse in una armonia che testimonia il periodo di costruzione, il primo Rinascimento, e l'impronta di un grande artista quale autore del progetto. Infatti tutto il Complesso Architettonico, Chiesa e Convento, è quasi certo che siano stati progettati da Giuliano da Sangallo (1470). Del progetto iniziale ci rimangono copie dei disegni eseguiti dal nipote Antonio da Sangallo il Giovane, uno realizzato a mano libera ed uno, il successivo sviluppo, fatto con riga e squadra, che sono conservati presso la Galleria degli Uffizi a Firenze. In linea di massima esso fu eseguito fedelmente e solo nel 1555 venne modificato da Nanni di Baccio Bigio, appartenente alla sangalliana", "setta cioè ai seguaci della dinastia dei Sangallo (Giuliano, Antonio senior ed Antoniojunior) che ridusse il disegno del convento e principalmente del chiostro grande, che poi venne detto del Vignola, forse perché questo grande maestro aveva assunto la direzione dell'azienda che i Sangallo avevano messo in piedi dopo la morte di Antonio junior In seguito, grazie all'apporto di numerosi grandi artisti, la chiesa si arricchì di tante opere d'arte che fanno di essa sicuramente la più bella espressione dell'interno.
L'interno è a tre navate. Misura in lunghezza 90 metri, in larghezza 24 metri ed il soffitto a cassettoni della navata centrale è alto da terra 19 metri. Negli anni 1973-1973, sono stati fatti dei restauri che hanno interessato principalmente le navate laterali ed il coro, che erano stati deturpati dai restauri ottocenteschi. Si è cercato di riportare tutto il complesso all'originale disegno di Giuliano, salvo il presbiterio. Nella sua semplicità il disegno è incantevole e lo sguardo scivola su capitelli, sguinci, rilievi e si soddisfa.Una pace interiore sembra avvolgere il visitatore, che è portato a fermarsi e a meditare. L'interno ricorda molto quello della Basilica di S. Lorenzo e della Chiesa di S.Spirito a Firenze, opere del Brunelleschi, di cui Giuliano da Sangallo fu il più fedele prosecutore delle indicazioni architettoniche. Le tre navate sono divise da otto colonne monolitiche ornate da bellissimi capitelli, opera di Domenico di Giacomo da Firenzuola (1499). arte rinascimentale nell'Alto Lazio.
IL PRESBITERIO
In fondo alla navata centrale, al centro del presbiterio, troneggia il capolavoro di Andrea Bregno (1490). Tutto in marmo bianco di Carrara , il tempietto racchiude la tegola miracolosa, posta ancora sullalbero antico. Nei vari pannelli si possono ammirare un presepe, le statue di San Pietro e di San Giovanni Battista a sinistra, quelle di San Paolo e di San Lorenzo a destra. Intorno al tempietto vi sono degli affreschi opera di Michele Tosini, detto il Ghirlandaio perché nepote e discepolo del più famoso Rodolfo Ghirlandaio, eseguiti nel 1570. Nelle pareti laterali, sulla sinistra San Domenico che tiene tra le mani un giglio e San Pietro Martire che regge una palma; sulla destra San Tommaso dAquino e San Vincenzo Ferreri. Sulla facciata posteriore è dipinta la scena del miracolo del cavaliere che la Madonna rese invisibile agli occhi dei nemici. Fra i pilastrini sono dipinti Sant'Antonino, arcivescovo di Firenze e Santa Caterina da Siena. Allinterno, sopra il tronco della quercia che l'ospitò la prima volta, ed alla quale, tolta, sempre ritornò, riposa da più di 500 anni la Tegola dipinta da mastro Monetto, racchiusa in una cornice d'argento massiccio, dono del Cardinale Alessandro Montalto (1604). La pittura è una tipica Madonna del XV sec. La Vergine ricorda, in alcuni particolari, le immagini bizantine. Gesù bambino si volge a Lei, tenendo tra le mani una rondinella. Tutto il quadro sembra voler esprimere questo concetto: Gesù che chiede alla Madre "Che vuoi che faccia?" e la Vergine, con uno sguardo che non si dimentica, indica al Figlio il fedele in preghiera. E uno sguardo che penetra, che scende nell'anima, che indaga, che assolve, che consola, che calma, che rassicura, che incoraggia.
Il tempietto con
l'immagine della
Madonna della Quercia
Il fedele si alza, dopo aver pregato, sicuro che la Madonna non lo abbandonerà e gli occhi della Vergine gli rimarranno per sempre nella memoria. Si racconta che mastro Monetto, mentre faceva il quadro della Madonna, arrivato al volto di Maria, si addormentasse. Mentre era assopito sognò che degli angeli avevano eseguito il viso della Vergine. Svegliatosi infatti lo trovò già completato. Non gli rimasero da fare perciò che i veli e le rifiniture. Forse una leggenda, che però dice come, a tutti, questi occhi lascino un profondo ricordo. Sul frontone centrale un affresco del 1866, opera del Gavardini, in cui è raffigurata l'incoronazione di Maria. Opera del Prosperi sono invece gli affreschi della cupola (1867), che architettonicamente richiama molto i motivi di quella che il Brunelleschi fece a S. Maria del Fiore in Firenze. E da dire che tutto il Presbiterio fu modificato dai restauri eseguiti nel 1861-1880 e che inconsapevolmente deturparono il progetto onginale. Furono abbattuti infatti le due pareti, che dividevano il presbiterio dalle cappelle laterali e sulle quali pareti Maestro Giovanni de Vecchi dal Borgo di San Sepolcro, nel 1567, aveva dipinto dei bellissimi affreschi, che purtroppo andarono distrutti.
IL CHIOSTRO DELLA CISTERNA
Usciti dalla Sacrestia, attraversando a sinistra un bel portale, scolpito da Domenico di Giacomo da Firenzuola e da Bernardino da Viterbo (1502), si entra nel chiostro. A due ordini, quello in basso riecheggia lo stile gotico viterbese, quello in alto è rinascimentale puro. Questo chiostro è detto, senza nessun fondamento, del Bramante.
Un'immagine del chiostro
Il visitatore, appena entrato, si sente invaso da una pace interiore impressionante. Solo un grande artista avrebbe potuto realizzare ciò: Giuliano da Sangallo, quasi certamente lautore del progetto, ha compiuto infatti un capolavoro.Alla sua costruzione lavorarono numerosi e valenti maestri tra i quali Maestro Bartolino da Como, Giacomo di Sermona, Giacomo di Rempiccia e Maestro Danese da Viterbo, allautorità del quale si deve se la parte inferiore (1481) riecheggia il chiostro di S. Maria in Gradi a Viterbo. La parte superiore fu realizzata nel 1511-1513. Attraverso tre archi ribassati si accede allinterno del chiostro. Al centro è una cisterna, opera di Bruno di Domenico di Desiderio da Settignano e Maestro Capo Corso. scalpellino (1508).
Sopra larchitrave è scritto: "Qui bibit ex aqua hac sitiet iterum" cioè: "Chi beve questa acqua avrà sete di nuovo ", con chiaro riferimento alle parole che di Gesù disse alla Samaritana. Negli ambulacri inferiori sono affrescati numerosi miracoli, fatti dipingere dai frati, nel timore che andassero distrutte le tavolette votive presenti in chiesa. Gli affreschi sono del XVII secolo. Vi lavorarono sicuramente: Pompeo Carosi (1602), Camillo Donati (1603-1604), Ludovico Nucci (1607).
Prof. Gianfranco Ciprini
www.madonnadellaquercia.it
Il 17 gennaio i sagrati e le piazze di molte Chiese, dal sud al nord della penisola, brulicano di animali condotti dai loro proprietari per la benedizione di Sant' Antonio.E vissuto nel 250 a Coma (oggi Quemar) sulla costa occidentale del Nilo, nel medio Egitto. Morì all'età di 105 anni.
"Ti ringrazio,Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai saggi e le hai rivelate ai piccoli " ( Mt-11-25 )
Da dove parte il cammino di San Francesco FINO a Cristo ? Parte nel guardare Gesú crocifisso. Lasciarci guardare da Lui nel momento in cui ci dona la vita per noi e ci attrae a Lui. Francesco fece questa esperienza di modo particolare nella piccola chiesa di San Damiano pregando davanti il crocifisso. In quel crocifisso Gesú non appare morto, ma vivo. Il sangue scorre dalle ferite delle mani e dei piedi, ma quel sangue esprime vita,
Signore, tu sei amante della vita!
Anzi, Tu sei la vita.
E tutto quello che esiste
è bellezza nel giardino del mondo,
è gioia nel cuore dell'uomo,
è canto della terra e del cielo.
Risorgeremo,
pertanto, come Maria. Saremo assunti, come lei, in anima e corpo al cielo, con
un titolo assai simile al suo .La differenza che avvertiamo per primRisorgeremo,
pertanto, come Maria. a è quella
rappresentata dall elemento tempo: lei dopo la sua santa Risorgeremo,
pertanto, come Maria morte, noi nellultimo giorno.
Ma può ritenersi una differenza essenziale, questa, se il tempo, come insegnano
i ?loso?, non rientra nel costitutivo
speci?co delle cose? A rigore di
termini, risuscitare al primo istante dopo la morte, o dopo miliardi di
millenni e sostanzialmente identico, perché il tempo è solo misura del moto,
ideata dagli uomini, incapaci di pensare al di fuori delle categorie di spazio
e di tempo.
Questa ragazza ebrea appare del tutto arbitra delle proprie scelte.
Latteggiamento di Maria, risulta ancora più maturo, al momento della decisione di andare in cerca della parente Elisabetta, nella lontana regione della Giudea.
Vivi ancora o già defunti i genitori, Maria ne doveva far parola almeno con Giuseppe, suo sposo, in ragione degli impegni assunti con lui e in considerazione delle nozze orami imminenti.
Già solo nel porsi davanti ad un problema complesso come questo, è d'obbligo procedere ad occhi bene aperti, non lasciandosi guidare da postulati istologici, o morfologici, per non cadere su di un terreno più magico sacrale che evangelico. Per i romani, eredi degli etruschi, parlare di verginità voleva, dire interessarsi alla condizione delle vestali, consacrate alla custodia del fuoco sacro, segno della perennità dell' Impero di Roma, e per questo, astrette alla rinuncia ad ogni attività sessuale, per tutto il tempo del loro servizio. Una prospettiva assolutamente pratica, che dalla sacralità sfociava su un contesto socio-politico.
Quando a Santissima Virgem entra em uma alma, faz desabrochar nela uma luminosa primaveira: dissipa as núvens sombrías da tristeza, da dúvida e do desánimo. 0s corações que se dão sinceramente a Ela são inundados de claridade, de paz e de felicidade.