Dietro a Cristo con la propria croce
In questa XXIII^ domenica del tempo ordinario, la liturgia ci propone come prima lettura un piccolo brano preso dal libro della Bibbia Sapienza.
E stato scritto in greco da un autore assai esperto della lingua. S. Paolo nelle sue lettere, ne fa uso, e questo lascia supporre che esso sia stato scritto verso la metà del II° Sec. a.c.
La sapienza è come un energia che discende da Dio e condanna chiunque la respinge.
Perché la sapienza alleghi nel nostro cuore e nella nostra mente, declamiamo, come facevano gli antichi, il salmo responsoriale: Donaci o Dio la sapienza del cuore.
Uscito dalla casa del fariseo, dove era stato invitato a pranzo, Gesù riprese il cammino verso Gerusalemme, seguito da molta folla. Ma non bastava certo, perché costoro fossero suoi discepoli, che lo seguissero materialmente.
Ancora si serve di due brevi parabole, per usare prudenza e coraggio, in chi vuole seguirlo da vicino.
Ed usa, come al solito, frasi forti, per inculcare bene la verità.
E categorico, come sempre, tassativo.
Seguire Lui, comporta rinunce e sacrificio; chiede il distacco, almeno interiore, da qualsiasi cosa propria, dovendo tutto subordinare alladesione a Cristo. Tale rinunzia interiore a qualsiasi cosa suppone però, in chiunque, lanimo disposto alla rinunzia anche attuale ed esteriore, quando, tutto considerato, la cosa risulti di ostacolo alla adesione a Cristo.
Molti della folla, sotto spinta emotiva, si dichiaravano pronti a seguire Cristo, ma poi si tiravano indietro.
Quando Pietro farà catechesi, anche lui si troverà con i suoi interlocutori che non hanno coraggio e si arrendono; scriverà nella sua seconda lettera (2,21) ...era meglio... non conoscere la via della giustizia che, dopo averla conosciuta, ritirarsi indietro...
Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Questa rinunzia non può ammettere evidentemente alcuna eccezione quanto al distacco interiore; quanto invece al distacco esteriore, dipende da speciale invito del Signore.
Ancora, per lennesima volta, grande insegnamento per noi: non pretende da noi il Signore le scelte di Francesco dAssisi o di Madre Teresa di Calcutta, ma ci chiede di non essere troppo morbosamente attaccati ai beni terreni, perché, come conseguenza inevitabile, si va verso legoismo.
A parole siamo prodighi di considerazioni caritative verso il prossimo che soffre; ma in pratica non diamo generosamente che una piccolissima parte del superfluo!
E questo attaccamento smodato ai beni terreni, provoca una catena di delusioni e risentimenti, soprattutto quando leredità paterna non ci sembra divisa in parti eque; e non riusciamo a godere anche del poco che abbiamo, perché vittime, secondo noi, di ingiustizie.
Ci pensi quanto è assurdo il nostro comportamento! Passiamo il tempo in rivendicazioni,a volte azioni legali, come se la nostra vita terrena fosse senza fine, senza minimamente pensare che da un momento allaltro può terminare.
Signore, mi vergogno quando anche io sono così attaccato al denaro. Mi voglio giustificare, dicendo che non mi basta mai e mi ostino a non tesaurizzare per la vita eterna, privandomi di qualcosa anche utile. Se avessi la sapienza di tenere presente che se io do uno, riceverò da Te cento, avrei serenità, tranquillità nei miei giorni terreni e certezza di ricompensa nei giorni senza fine.
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DIO DI TENEREZZA
Don Lucio Luzzi