Benedetta BIANCHI PORRO
e il senso della vita Un sacerdote di Milano, don Giorgio Begni, chiese anni or so¬no a Corrado Bianchi Porro, una riflessione complessiva sulla sorella Benedetta, con particolare riferimento ai temi della Croce e dell'amicizia. Questa è la risposta di Corrado.
E una bellissima lettera che ci aiuta a comprendere sempre meglio il mistero di Benedetta.
Faccio
seguito alla Sua cortesissima richiesta rispondendoLe succintamente per
quel poco che ho compreso della vicenda di Benedetta. Ella ha cercato di dare un senso alla sua vita.
Sembrano
cose ovvie, ma potrà riflettere con me come molto spesso, osservando
dal di fuori l'esistenza di molti nostri contemporanei e dal di dentro
la nostra vita, confermiamo quella amara descrizione di Sani Shepard
quando scrive: "La gente qui, è diventata la gente che fa finta di
essere".
Siamo gente che vive ai margini di se stessa, che si affanna per molte cose inutili, quando non dannose.
Benedetta
ha invece pre¬so sul serio l'amore che Dio ha per ognuno di noi ed ha
cercato di mettere a frutto tutti i suoi talenti per sé e per gli altri. Così si è impegnata nello studio (non solo il suo, ma anche il mio,
perché si faceva carico delle mie svogliatezze scolastiche), così
voleva diventare medico per aiutare gli uomini nelle loro debolezze e
sofferenze.
Anche questo, credo, per amicizia. Vi è qualcosa di più
bello che gioire e crescere assieme, avere degli amici che siano di
conforto a noi e noi a loro, che ci comprendano e dai quali siamo
compresi sempre e comunque? ("Abitare negli altri "). E ad un
certo punto Benedetta, faticando per far lavorare i suoi talenti si
trova, ad una ad una, tutte le vie chiuse. Dio non vuole né questo, né
quello, né altro ancora. Non il lavoro, né la professione, la salute, lo studio, la cultura. Sono dunque inutile perché Dio mi chiude ogni porta? E non sono inutile anche agli altri?
La
sua esistenza, umanamente, non è altro che questo progressivo
fallimento. Non le rimane che l'esperienza cruda di questo dolore,
fisico e morale, al quale nemmeno noi riusciamo qualche volta a
sfuggire. Eppure, proprio in fondo a questa abiezione, ella si accorge che Dio continua a guardare all'umiltà della sua serva. Poiché Egli è fedele alle Sue promesse e se chiude una porta è per apri¬re un portone.
Ed
ecco, allora, il richiamo che Benedetta si fa all'obbedienza, alla
pazienza ed alla docilità, poiché "è dalla pazienza che si misura
l'amore". Dall'accettazione di questa strada difficile e segno di
contraddizione ("se puoi, allontana da me questo calice, ma sia fatta
la Tua volontà"), nella pazienza di Dio ritrova se stessa come mai
prima. Si accorge che la Chiesa è figlia della Croce.
L'amicizia così tenacemente perseguita nella sua prima gioventù, qui trova, nella Croce, la sua confermazione più radicale. Poiché non c'è amore più grande che dare la propria vita per i propri amici. "Il Signore ha legato le nostre vite per sempre
Chiesa
domestica, nella sua toccante esperienza, che è promessa di ciò che è
destinato a realizzarsi nella vita trinitaria di Dio.
L'amicizia
originaria, quel regno di giustizia e di pace che tante volte abbiamo
sognato e sperato, non è in realtà lontano da nessuno di noi. E, paradossalmente, la Croce, il dono di sé fidu¬cioso nell'altro, ne avvicina la realizzazione.
Questa,
in poche e povere parole, la vicenda, come oggi la in¬travedo, dei due
temi della Croce e dell'amicizia di cui mi ha chiesto riguardo
Benedetta. Quanto alla risonanza in me e nella nostra famiglia di questa esperienza, cosa posso dirLe? Da una parte rossore e tremore. "Timeo Dominum transeuntem", temo il Signore che mi passa accanto. Poiché io, noi, non siamo santi. Siamo gente di borgata, gente che vive ai margini di se stessi.
E dall'altro lato (e non vi è contraddizione) tenace speranza, umile figlia dello Spirito. Poiché la santità è nostra sorella. E se nostra, ugualmente vostra.
Ci passa vicino nelle nostre case, come luce che brilla nelle tenebre finché non sorga il giorno. Così, copren¬doci il capo, chiediamo a noi ed a voi che non ci spaventi il peccato del mondo. Perché: "C'è più gioia...".
E di non arrenderci di fronte al peccato, perché, è vero, c'è più gioia.