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Sapevi usare
anche l'ironia
(Mc.7,24 - 30)


Sgretolare pregiudizi atavici con una maestria che mi stupisce ogni volta di più. Era per te, Maestro mio, un’impresa da nulla. I tuoi seguaci ti avevano inteso sconfessare in vari toni l’arroganza con cui si contrapponevano ai goim, cioè ai pagani, come fossero cani, mentre essi soli si  sentivano, e di diritto, il popolo di Dio, il gregge del suo pascolo.

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Quel giorno transitando, appunto, in zona ampiamente pagana, cioè il litorale della Fenicia, assistettero a quelle battute misteriosamente ironiche, che sembravano confermarli in quella loro presunzione, data per scontata anche davanti a Dio. Il Pane, se c’era, apparteneva solo ai figli, non agli estranei, agli animali, ai cani insomma.



Tu di certo non adoperasti quel diminutivo grazioso “i cagnolini” ma il duro termie citologico: i cani!

E in quel brutto termine, era compresa anche quella disgraziata madre che li aveva seccati con l’insistere che implorassero dal famoso  Rabbi, la guarigione di una sua figlia gravemente  malata.

Loro, i discepoli, di sicuro presero alla lettera quelle parole e sperarono di togliersela di tra i piedi con un nulla di fatto.

Invece no. L’umiltà di quell’infelice, la fiducia che mostrò di non perdere in Te, nonostante la tua apparente durezza, ti strappò una delle rarissime esclamazioni di adesione, mai uscite dalle tue labbra: “ Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” ( Mt.15,28).




Ora so che per disarmarti, basta l’umiltà. Per innamorarti, l’umiltà. Per renderti accetta la mia cooperazione apostolica, l’umiltà: quella che non deprime la mia personalità, ma la purifica e la rende simile alla tua, di cui il Padre si compiace e addita a noi come modello.



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