Festa in famiglia
Abbiamo visto già i calzari, di nuovo ai piedi del nostro ex porcaretto, il balenare dell'anello d'oro al suo dito, ancora redolente di servizio al suo branco suino... Ora il Padre ha una cosa più impellente, anche se meno artistica, da ordinare alla servitù:: "Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa!" (Lc 15, 23). Qui ogni parola va esaminata con attenzione e ammirazione profonda; vediamo!
"Portate il vitello grasso", cioè andate a prelevarlo nel branco. Ma che sia "grasso", cioè pronto per la macellazione.
"Ammazzatelo": cosa che richiedeva il suo tempo, anche se non erano ancora in uso le formalità igieniche e i controlli odierni (chissà se più attendibili di quei sistemi arcaici...).
"Facciamo festa!". Notate il passaggio della terza persona: prendete, ammazzate alla prima "facciamo festa".
Le due prime spettavano ai servi: agli uomini la cattura dell'animale nel branco, la macellazione,alle donne la cottura e l'approntamento del convito.
Non è per una curiosità superflua: quelle donne avrebbero puntato sull'arrosto: ci potete giurare. Gli antichi non conoscevano brodo, carne per brodo (escluso un atto di culto).
Al momento di far festa, entra in campo personalmente il Padre, con accanto il figlio, sdraiato con lui sullo stesso divano del "triclino". Voi già conoscete questo uso di mettersi tavola, di provenienza etrusca.
I rabbini dicevano che, nella Palestina di quei tempi, anche famiglie di mediocre benessere, potevano concedersi il lusso di mangiare sdraiate sul triclinio. Meno le donne, che o potevano assidersi in fondo al divano, oppure mangiare in cucina.
Comunque sappiamo già che quel Padre non aveva moglie e ne conosciamo le ragioni (era Lui stesso Padre e Madre!).
Immaginate una scena conviviale che ha preso il via con quel grido del padrone di casa, fuori di sé per aver riavuto fra le sue braccia un figlio che poteva considerasi perduto.
Soffermiamoci un attimo, davanti alla scena di un movimento casalingo, diventato frenetico, in quell' ambiente, dove da mesi, chissà, da qualche anno, era piombata la notte di una sventura che sembrava irreversibile...
Non ci vedete lo scorcio commovente di un Padre che non resiste più alla gioia di vedersi accanto quel figlio?... E noi continuiamo a parlare di timore di Dio in senso veterotestamentario! Quello era un modo iniziale di accostarsi a Dio-Jahvè, certo; che però, nel Vangelo si è trasfigurato nel "Padre di N.S. Gesù Cristo, Dio di ogni consolazione" (2Cor 1,3).
Come è possibile avere ancora paura di Lui, mentre ci chiede di fidarci della sua premura, per la vita, la morte, l'eternità?
Non è questa l'essenza della vita cristiana?