
Naufragio o approdo?
La richiesta più antica
fu quella di Mosè sul monte:
"Fammi vedere la tua Gloria".
E da allora rimase inevasa: è desiderio
sempre vivo nel cuore dell'uomo.
Il grande contemplativo di Nissa
dinanzi all'infinito di Dio scriveva:
"È come guardare dall'alto di un monte
un mare profondo e insondabile.
Sono da vertigini l'immensità e l'altezza".

Muove da qui l'anelito che ci sospinge
verso qualche meta di pienezza
dove la ricerca possa acquietarsi,
dove il grido del cuore finalmente si taccia.
Qualcuno, come Agostino sulla spiaggia,
riteneva di asciugare l'oceano,
raccogliendone l'acqua in una buca di sabbia. Altri,
affascinato dagli "interminati spazi"
e "sovrumani silenzi", avverte la suggestione
dell'eterno dove il pensiero annega
e il naufragio diventa un'esperienza dolce.
Finito e infinito, prossimità e lontananza,
"totalmente altro" ed "Emmanuele°, Dio e Uomo!
Logica dei doppi pensieri?
Inconciliabili alternative? Trionfo del paradosso?
No. Non è in causa la retorica, il giudizio, il pensare.
È il cuore puro dell'esperienza di fede
che qui viene messo in gioco:
vedere l'invisibile, amare il non amabile,
sperare l'impossibile, contemporaneamente.
Su quel colle, infatti, in quel Venerdì Santo,
la fede nel Logos - confessata dal Centurione
abbracciava anche lo scandalo e la follia.
E proprio lì, attraverso quelle ferite,
la Gloria, che prima avrebbe fatto morire,
contemplata ora confitta sul legno,
diventa fonte di vita, incontro con l'Infinito,
riposo pieno del cuore, approdo all'Amore
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~ Lorenzo CHIARINELLI
Vescovo di Viterbo