Dunque si tratta di due campi distinti, anche se uno complementare all'altro; nel senso che la direzione spirituale tende a portare a compimento sia la grazia di conversione, sia l'impegno personale di chi vuole servire meglio il Signore.
Se è così, il confessore, quando ha ascoltato fraternamente il penitente, poi lo ha aiutato con quei buoni consigli che richiede il caso, se conclude con l' assoluzione sacramentale, ha fatto il suo dovere con lui e con Dio.Voglio dire che non rientra nel suo compito specifico di addentrarsi nello stato dell'anima, analizzando tendenze, debolezze e potenzialità varie: questa è l'area che appartiene più direttamente al padre spirituale. Siccome, però, questa distinzione non la si può spingere troppo in avanti, nel senso che anche il confessore, se ne ha il carisma può venire incontro al penitente sul piano del suo cammino di fede e d'impegno cristiano, cosi facilmente accade che un' anima buona accetta di ricevere, in quel caso, il sacramento e la direzione.
Niente male. Però, prima o poi, questo modo di regolarsi può ingenerare confusione, o creare problemi. Crea problemi, nel senso che il sacerdote, come confessore, è tenuto al segreto sacramentale, che lo lega ad un area ben circoscritta, e, pertanto, non può usare quanto sa del penitente in tutte le maniere che potrebbe suggerire il suo bisogno. Ingenera confusione, perché, appena ci si imbatte con un confessore che si limita al semplice ruolo del sacramento, il penitente ha l'impressione di essere stato frustrato nelle sue aspettative migliori.
Per questo, insistiamo: Confessore sempre, non sempre direttore spirituale.
Padre Bernerdino Bordo